Comune
L'inconfondibile profilo dell'antico borgo di Saludecio si staglia su un dolce colle della Valconca e invoglia il turista a visitarne i vicoli, le strade e i palazzi, per scoprire veri tesori nascosti.
Il paese, roccaforte malatestiana, è al centro di una corona di castelli difensivi, ultimo baluardo riminese contro la vicina Urbino dei Montefeltro.
L'assetto del centro rivela ancora oggi la sua struttura medievale, con il dedalo dei vicoli racchiusi dalla cinta muraria e le monumentali porte di accesso: porta marina e porta montanara, per la difesa verso il mare e verso l'entroterra.
Probabile fundus romano, il toponimo Saludecio deriverebbe dall'aggettivo saluticius a esso collegato o, forse, secondo un'ipotesi che sembra, però, una ricostruzione fantasiosa dell'umanista saludecese Publio Francesco Modesti, da salus Decii in riferimento a un illustre personaggio romano (secondo alcuni addirittura l'imperatore Decio) che trovò salute e salvezza su questo ameno colle. Terza ipotesi sull'origine di questo curioso nome è quella che lo collega a S. Laudicio, probabilmente un martire della Chiesa orientale, cui era dedicata l'antica pieve citata da una bolla papale del 1144: "plebem sancti Leoditii". Successivi documenti parlano poi di "plebs Sancti Laudicii", "Castrum Lauditii" e "San Lodezzo".
È in realtà possibile che questo santo Laodicio, di cui non si trova menzione in alcun elenco della Biblioteca Sanctorum, sia da collegarsi alla figura del vescovo della Chiesa ravennate Eleukadio. Pur non essendo mai stato canonizzato venne acclamato santo dai fedeli e venerato come tale. La non ufficializzazione del culto potrebbe aver in qualche modo facilitato la storpiatura del nome, a noi giunto nella forma Laudicio.
Anche Giovanni Boccaccio cita il nostro paese in una novella del suo Decameron (III,7), dove il protagonista della novella, Tedaldo degli Elisei, utilizza lo pseudonimo di Filippo da San Lodeccio.
I secoli XIII e XIV vedono un'alternanza di potere, su queste terre, tra lo stato pontificio e la signoria dei Malatesti di Rimini. Poi, a seguito del tentativo di rivolta degli Ondedei di Saludecio (1336) contro Ferrantino, Malatestino e Guido Malatesti (fallito a causa di un tradimento) a Saludecio è imposta la totale dipendenza ai Malatesti.
Il secolo XV, pur essendosi aperto all'insegna delle humanae litterae e della serenità, con il pacifico soggiorno a Montefiore di papa Gregorio XII, vede poi crescere e svilupparsi il progetto dei Montefeltro di Urbino sopra le terre di Romagna. Il già fragile equilibrio crolla nel 1462 quando, a seguito di questioni politiche di respiro nazionale, Federico da Montefeltro occupa Saludecio togliendolo a Sigismondo Malatesta, e lo riconsegna a allo stato della Chiesa.
Nel 1504, dopo essere passato per le mani del duca Valentino Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, Saludecio è sottomessa al governo di Venezia, ma per breve tempo, visto che già nel 1508 i Veneziani restituiscono il territorio allo Stato della Chiesa.
Il XVI secolo costituisce una sorta di assestamento del paese che nel secolo successivo vedrà, invece, una grande crescita economica e culturale, testimoniata dall'opera di numerosi artisti impegnati sul territorio (primo fra tutti Guido Canacci).
Anche nel corso del Settecento si aprono cantieri importanti, tra i quali sicuramente il più interessante è la chiesa parrocchiale di S. Biagio, iniziata nel 1794 e terminata nel 1800. Bell'esempio di architettura neoclassica, realizzata dall'architetto cesenate Giuseppe Achilli, fu fortemente voluta dal parroco saludecese nonostante il periodo particolarmente difficile, coincidente con gli anni della discesa napoleonica.
L' Ottocento si apre dunque con splendore e prosegue con lo stesso tenore, tanto che Saludecio, capoluogo amministrativo può a ragione essere considerata, relativamente a quel periodo, una piccola capitale. La classe dirigente (borghesia agraria) decide di abbellire i propri palazzi e di costruirne di nuovi, così che ancora oggi noi possiamo ammirare le splendide finiture e le pitture interne dei pregevoli edifici che si affacciano sulle vie del paese.
Oggi il comune, superata la crisi degli anni Sessanta, che ha causato un massiccio esodo verso la costa, ha ritrovato la propria identità puntando principalmente sul recupero dell'economia agricola e artigianale nonché alla valorizzazione culturale, ambientale e turistica del territorio.